Dovremmo vergognarci

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Dovremmo vergognarci, non come cristiani, o musulmani, o ebrei, ma come uomini.
Dovremmo vergognarci di scattare foto a corpi troppo piccoli, troppo giovani, buttati su una spiaggia, la vita succhiata via dalle onde.
Dovremmo vergognarci di stare lì a guardare senza fare niente, ma criticando questa orda, questa invasione, questo fiotto di disperazione che ci invade le coste e le città.
Dovremmo vergognarci davanti alle lacrime di una madre che cerca di tenere a galla un figlio, o di un padre che ha toccato terra con la sua bambina ancora in braccio. Ancora viva.
E, forse, lo facciamo. Ci vergogniamo. Ci vergogniamo della nostra ignoranza, perché è la nostra specie ad aver portato tutto questo, nonostante la nostra presunta evoluzione. Ci vergogniamo perché possiamo solo stare a guardare le migliaia di vite che vengono cancellate sull’eco del collasso dei templi, mentre centinaia se le prende il mare. Ci vergogniamo perché, nella nostra frustrazione, noi siamo impotenti tanto quanto quelle persone.

Le immagini che ci arrivano dalle coste del Mediterraneo sono tante, troppe perché la ragione possa sopportarle. Guardiamo fuori dalla finestra e vediamo i figli del vicino, o i nostri, che giocano e ridono come se niente possa spezzare quel momento. Che vivono. E poi spostiamo lo sguardo sulla televisione accesa, o sullo schermo del computer, e lui è lì, anima innocente di sette, otto anni di vita, che giace riversa sul bagnasciuga, battuta dalle onde come uno scarto, quando invece è il mare che si rifiuta di tenerla per sé. Non se la merita, quella piccola anima, il mare. Prova ribrezzo all’idea di essersela dovuta prendere, per poi rendercela insieme a una conchiglia, un ramo, un po’ di spuma. Come a dirci: guardate cosa avete fatto. Come a dirci: dovreste vergognarvi.

Non so che cosa possa passare per la mente di un bambino mentre scappa insieme ai genitori da una casa che non è più sua, che non rivedrà, perché la sua casa e la sua città se le sono prese gli uomini coi fucili e con le bombe. Non so che cosa possa passare per la mente di un bambino, di un genitore,  nell’attimo in cui la loro pelle viene avvolta dalla morsa gelida del mare. Ho la fortuna di essere una figlia della pace, nata in quella parte del mondo che è al di qua dell’obiettivo. Non posso capire. E di questo, di fronte a quelle immagini che senza tregua ci bombardano la coscienza, sono grata. Perché se avessi saputo che cosa significa essere al posto di quella gente disperata, non avrei più trovato ossigeno per respirare. Quelle foto e quei video me ne hanno già tolto abbastanza.

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