Questo libro si è guadagnato il primato di lettura più lunga della mia vita – finora e, spero, in assoluto.
Ci ho messo 9 anni a finirlo, ho dovuto costringermi ad andare avanti e l’ho fatto solo perché questo titolo mi era stato consigliato da una persona del cui giudizio mi fidavo.
Capiamoci: il messaggio che questo libro vuole trasmettere è interessante, e molto. È un onesto romanzo sociale che, oltre alla corruzione di cui certi ambienti universitari sembrano essere pregni, vuole dimostrare come, trascinate dalla massa e influenzate dal pensiero comune, nonché nell’affanno di voler venire accettate e non diventare delle escluse, anche le persone più morigerate finiscano col soccombere alle ideologie e alle abitudini dei più. Non a caso il prologo è dedicato alla scoperta del Premio Nobel Victor Starling, il quale studiò gli effetti della rimozione dell’amigdala dal cervello dei gatti. Privati della ghiandola che regolamentava le loro azioni ed il loro temperamento, gli animali divennero imprevedibili e finirono con l’influenzare il comportamento dei gatti “sani” che, messi nelle gabbie insieme a loro, iniziarono a comportarsi come se fossero stati a loro volta privati dell’amigdala.
La Dupont diventa perciò una grande gabbia all’interno della quale si muovono i gatti privati dell’amigdala – in questo caso gli atleti, le adepte delle sorority, le cheerleaders, le bionde-magre-bellissime-e-ricchissime figlie delle scuole private – e Charlotte Simmons, la ragazza che viene dalle montagne del North Carolina, il piccolo genio incompreso che, grazie a una borsa di studio, potrà permettersi di frequentare una delle università più prestigiose degli Stati Uniti d’America.
Charlotte Simmons sta per terminare il liceo quando la professoressa Pennington le comunica che ha vinto la borsa di studio assegnata soltanto a pochissimi prescelti nel loro Paese. Ha fiducia nella sua pupilla, Miss Pennington, sa che Charlotte è destinata a grandi cose e che la Dupont le fornirà gli strumenti giusti per ottenerle. Anche Charlotte sa di essere destinata a grandi cose. Lascia la casa male arredata in cui è cresciuta portando con sé un bagaglio misero e un’alta dose di sicurezza e di arroganza che la indurranno sin da subito a non volersi mescolare con la gente della Dupont.
Charlotte Simmons non ha tempo da perdere nelle frivolezze che contraddistinguono quelli come la sua compagna di stanza, Beverly, la classica bionda ricca magra e depravata che vive di notte e dorme di giorno. Non ha tempo da dedicare a Jojo Johanssen, giocatore della squadra di basket della Dupont con cui si incontra per caso e che le chiede un aiuto con un corso. Non ha voglia di mescolarsi con quella gente, eppure, al tempo stesso, Charlotte Simmons cerca disperatamente un modo per farsi accettare così com’è, malgrado quel suo essere “così com’è” sia l’opposto rispetto allo standard in vigore nell’università in cui studia.
Quando uno dei ragazzi più belli del campus, Hoyt Thorpe, le chiede di uscire, Charlotte va contro tutti i suoi ideali e contro la sua stessa morale, pur di accettare e venire finalmente inclusa nel giro dei cool e abbandonare quello dei perdenti in cui è stata tacitamente relegata.
La relazione con Hoyt segnerà la fine di Charlotte Simmons come lei stessa e le persone a casa la conoscevano. Dalle sue ceneri nascerà una persona nuova, diversa e, se possibile, intimamente ancor più aggressiva e cinica.
Non so se Wolfe avesse intenzione di rendere la sua protagonista così insopportabile fin dalla prima pagina. La superiorità di Charlotte Simmons, quel suo continuo porsi al di sopra di tutti gli altri, quella sua timidezza apparente esteriore contrastata da un disgusto interiore ben celato verso le persone che la circondano me l’hanno resa subito odiosa. Capisco che Charlotte sia semplicemente il mezzo di cui Wolfe si è servito per trasmettere il suo messaggio, gli “occhi” di cui aveva bisogno per entrare e muoversi all’interno della Dupont, nondimeno ha creato una protagonista che, grazie a quel suo continuo giudicare gli altri anche con pensieri piuttosto forti, mi ha costretta a prendere e lasciare questo libro decine di volte, negli anni. Poi, ad un certo punto, ho capito che me ne dovevo fregare di lei: Charlotte è una stronza e tale resta, perciò vediamo cos’altro ha da dire questo libro. A quel punto ho finalmente cominciato a godermi l’altra trama, quella che corre parallela alle vicende tragiche e strazianti (leggere con tono pesantemente ironico) di questo giovane genio incompreso.
Se avessi letto una sola altra volta “una ragazza depressa fa questo e quello” credo che avrei bruciato il libro. Per fortuna va avanti “solo” per qualcosa tipo 100 pagine.
Altra piccola nota: Charlotte non si sente solo superiore e non è solo stronza. È anche incredibilmente egoista. Adam è l’unica persona che tiene a lei nell’intera Dupont, le rimane affianco per settimane quando cade giù dal suo trono e va in depressione, la aiuta ad uscirne e lei, giustamente, cosa fa? Quando arriva il momento di restituire il favore al suo unico amico, se ne parte con una sequela di lamentele che non finisce più e, alla fine, lascia che Adam si arrangi da solo per la maggior parte del tempo.
Lo stile di scrittura è un altro aspetto che ha corroso la mia pazienza. Ci sono troppi… puntini… di… sospensione… tanto per cominciare, e decisamente un’abbondanza ingiustificata di… punti esclamativi! TANTI punti esclamativi! Ma, dico! Di che ci lamentiamo? Charlotte è snervata nel 99% del tempo! E ha ragione! Sono tutti così inferiori, alla Dupont! Gli atleti hanno addirittura dei corsi speciali messi su apposta per loro, loro, dei dell’olimpo dello stadio dal quoziente intellettivo di un bradipo lobotomizzato! Povera Charlotte, ma come ha fatto a finire in mezzo a quella gente? Lei, tapina!
Tutto questo, ovviamente, non è da imputare alla traduzione in italiano, che comunque mi è parsa piuttosto buona. La prova del 9, in quei casi, la faccio andando a scaricarmi il sample per il Kindle.
Ho fatto venire il nervoso anche a voi con questa mia altamente sarcastica e pungente opinione sul libro di Wolfe? Bene, perché questo dovete aspettarvi di provare se deciderete di leggere anche voi le 700 e rotte pagine di quel mattone.
3 punti su 5 perché, in fondo, qualcosa di interessante da dire alla fine lo aveva.